Bufale, perché chiamiamo così le notizie false

Viviamo senza dubbio nell’era della disinformazione. Per carità, le panzane non sono certo nate nel ventunesimo secolo, oggi hanno semplicemente la possibilità e i mezzi per diffondersi in ogni angolo del globo in cui si trovino individui poco accorti e pronti ad abboccare. Quando una notizia falsa o manipolata fa capolino nei canali dell’informazione, nei social network o nelle chat, si utilizza spesso il termine bufala. Ma da dove deriva questo utilizzo?

Che significa – Ci sono diverse teorie. Stando al Grande dizionario italiano dell’uso (GRADIT) di Tullio De Mauro, l’uso figurato di bufala deriverebbe dal romanesco, in particolare degli anni ‘60. Tale datazione è opera di Claudio Quarantotto (Dizionario del nuovo italiano, 1987) che riporta parole circa un «un film che, anche prima di essere visto, fu definito una “bufala” dagli amici romani».

Paolo D’Achille ha invece proposto una spiegazione gastronomica secondo cui alcuni ristoratori romani, avrebbero perpetrato il malcostume di spacciare la carne di bufala per la più pregiata carne di vitella. Da qui la parola avrebbe assunto il significato di “fregatura” e quindi di “falso”.

Questo è quanto riporta Riccardo Cimaglia sul sito dell’Accademia della Crusca. Ma non finisce qui, sembra esistano casi più lontani nel passato.

Si legge in un articolo de Il Post di Massimo Arcangeli, di un possibile utilizzo del termine bufala in questo senso risalenti al XVII secolo. Per citare un solo esempio, nella commedia teatrale Lo spedale (1646) è presente questa battuta: «vado dalla sig. Clorinda dalla quale sono stata chiamata, e posso ben dir di esser stata menata per il naso come una bufala». Il bufalo ritorna, al femminile o al maschile, in numerosi altri testi dal XVI al XIX secolo, per indicare una persona stupida e credulona, tirata per il naso proprio come l’animale e condotta all’errore da una falsità.

Casi celebri – Una delle prime bufale della storia è sicuramente la Donazione di Costantino, un falso editto dell’imperatore romano Costantino I che aveva ad oggetto alcune concessioni fatte dal sovrano al papa e che fu utilizzato durante il medioevo per giustificare la nascita del potere temporale dei pontefici romani. Fu il filologo italiano Lorenzo Valla a scoprire, nel XV secolo, l’assoluta falsità del documento che riportava l’editto.

Altro curioso caso fu la cosiddetta “grande bufala della Borsa valori” del 1814: un uomo in uniforme, presentatosi come Colonnello du Bourg, entrò allo Ship Inn di Dover, Inghilterra, portando la notizia della morte di Napoleone Bonaparte e del ritorno al potere dei Borboni. La notizia, che si scoprì essere stata inventata ad arte, ebbe un grande impatto persino sulla Borsa londinese e il valore delle finanze decollò.

L’impatto che una bufala può avere sulla società è imprevedibile e spesso dai risvolti imbarazzanti se non inquietanti per giornalisti, istituzioni, operatori economici e così via. Questo accade a maggior ragione con i mezzi tecnologici che abbiamo e avremo a disposizione nel futuro, si pensi soltanto ai deep fakes: tecnologia già oggi esistente che permette di creare, fra le altre cose, video piuttosto verosimili in cui un personaggio pubblico pronuncia parole mai dette nella realtà.

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